mercoledì 12 novembre 2014

con ogni probabilità sto per morire e quindi, miei lettori, vi lascio questa pesante eredità

tutto è cominciato quando ho deciso di cambiare smalto.
dopo tre giorni di azzurro cielo, volevo qualcosa di più autunnale: un grigio, un tortora, un fango, un marrone. Sì, un dannatissimo marrone.
ho notoriamente un problema con gli smalti marroni: ogni volta che li metto mi viene una tremenda e implacabile voglia di cioccolata. Davvero, è più forte di me. Vedo quel bel marrone denso e corposo sulle mie unghie -che faticosamente hanno riguadagnato una lunghezza dopo mesi di smangiucchiamenti dovuti ai miei psicodrammi- e mi parte in testa la sigla del ciobar.
ora, fin qui tutto normale e risolvibile, se non fosse per due piccoli ostacoli:

1) sono vegana, ergo la maggior parte delle cioccolate esistenti sul pianeta mi sono vietate
2) sono allergica alla frutta secca, e questo esclude quella minima parte di cioccolato sul quale - teoricamente -potrei mettere le grinfie.

sono dunque condannata a condurre un'esistenza priva delle gioie dell'ossitocina o più poracciamente del cacao?

probabilmente sì, e non sarebbe neanche male considerando che teoricamente starei seguendo una tristissima dieta a base di seitan, cous cous, verdure, privazioni e dolore.

però, come diceva Oscar Wilde, posso resistere a tutto tranne che alla cioccolata quando indosso uno smalto marrone.

mi sono dunque prodigata nell'affannosa ricerca di cioccolato in casa mia, con scarsissimi risultati.
ma proprio mentre ero sul punto di collassare, gettarmi sul pavimento e piangere bestemmiando in cinese, noto in frigo una tavoletta di cioccolato vegan. Una di quelle barrette di fondente amaro come la vita che costa un occhio della testa perché prodotto in brasile da contadini provenienti da una delle ultime comunità azteche ancora esistenti e che utilizzano l'antica tecnica di raccolta delle fave di cacao mentre cullano macachi e cantano canzoni d'amore e speranza ai cuccioli d'elefante. Roba bio-eco-ethic-equosolidale insomma.

Frettolosamente leggo gli ingredienti, alla ricerca dell'inghippo che, puntuale come un post razzista di Salvini, infrangerà miseramente i miei libidinosi sogni a base di cioccolato:

Può contenere tracce di latte, mandorle, noci, nocciole, frutta a guscio.

Che dire.

In questi momenti, l'unica cosa da fare è rivedere un attimo le proprie priorità:
meglio un piacere effimero e passeggero che probabilmente mi porterà -nel migliore dei casi- a riempirmi di bolle e a gonfiarmi come un rospo o -nel peggiore- a morire di un'orribile morte per soffocamento; oppure mi conviene riporre la stecca di cioccolato e tornare a studiare per l'esame di linguistica generale che ho tra meno di un mese e del quale ho visto sì e no il primo irrilevante capitolo (ovvero quello sui bonobi che a quanto pare usano le loro basilari abilità comunicative per procacciarsi vagina, un po' come hanno fatto -o tentato di fare- la maggior parte dei maschi che si sono parati sulla mia strada)?

In un primo momento, decido di optare per la seconda.

Come tutti i miei buoni propositi, anche questo si è sfracellato contro il muro della mia viziosità nel giro di pochi minuti ed eccomi qui a scrivere essenzialmente il mio testamento (anche perché mio fratello ha detto che qualora dovessi star male non chiamerà i soccorsi perché sono una stupida scema che non sa tenere a bada il suo stomaco.):
tanto per cominciare, a mio fratello non lascio un cazzo di niente così impara a non eventualmente soccorrermi.

Detto questo, sono passati svariati minuti da quando ho mangiato quel singolo quadratino di eco-bio-veg cioccolata, quindi direi che sono abbastanza fuori pericolo, ergo trovo inutile continuare a scrivere il mio testamento.

Giusto così, per ogni evenienza, sappiate che voglio donare tutti i miei organi tranne la vescica -dal momento che ha la capienza di quella di un Chiuaua e quindi temo sarebbe molto poco utile- e le tette, perché quelle le amo e le voglio con me per sempre.




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