domenica 21 agosto 2016

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E' l'attimo prima della tragedia, quello che aneliamo.
Sono giorni che ho in testa questa frase e con tutta me stessa ho provato a vietarmi di scrivere. Perché è personale, perché non ne voglio parlare. Faccio come i cavalli col paraocchi, quando il cocchiere li tira per la briglia e loro puntano le zampe anteriori perché non vogliono camminare. Ecco cosa ho fatto e sto facendo.
Il momento in cui sono entrata nella stanza rossa del pronto soccorso trovando mia madre in lacrime mentre mi dice "è morto", credo mi perseguiterà a vita. Fino al momento prima, non sapevo, era tutto ok.
Papà era là dentro, c'erano medici e infermieri a prendersi cura di lui e io ero nel corridoio del pronto soccorso a scherzare con mio fratello. Noi eravamo là e papà lottava per la sua vita, mentre i medici tentavano disperatamente di salvarlo.
Una parte di me ancora spera di scoprire alla prossima citofonata, che è tutto uno scherzo di pessimo gusto. E' strano e doloroso sapere che non potrò più vedere mio padre, sentire la sua voce, litigarci, prenderlo in giro. Ogni piccolo obbligo casalingo che gli spettava e che ora io, mamma e mio fratello ci spartiamo è uno spillo nel cuore che ci ricorda quello che è successo.
Sedici giorni fa era dove sono io ora.
E vorrei tanto credere in qualcosa, per avere le risposte a quelle domande che una risposta univoca non ce l'hanno.
Che fine farò, quando finirò?