sabato 7 gennaio 2017

Blackfish.

Quando ero piccola, avevo un pupazzetto a forma di orca assassina, che di assassino non aveva un bel nulla.
L'avevo trovato assieme ad una Barbie in muta da sub, che avevo comprato solamente perché mi piaceva l'orca.

Erano anni difficili. Andavo a scuola e non avevo molti amici.
La mia colpa era quella di essere troppo bassa, di avere i capelli troppo lunghi, di essere "la cocca della maestra".
Capitava spesso che tornassi a casa con qualche graffio, con il grembiulino strappato, con le lacrime agli occhi.

Un pomeriggio come tanti, sfogliando il mio libro di scienze, trovai la piramide con i predatori più letali dell'oceano.
Al vertice della piramide, l'orca assassina.

Da quel giorno, presi l'abitudine di portare sempre con me il pupazzetto dell'orca che tanto adoravo. Mi faceva sentire più forte, mi faceva sentire protetta. Gli schiaffi, gli insulti e le prese in giro facevano meno male, se poi potevo raccontarli alla mia orca.


Un anno e mezzo fa, ero sul mio letto, in pieno delirio da post-esame di latino. L'ultimo esame della triennale. Tesi quasi finita, felicità alle stelle. Mi sembrava così assurda l'idea di avere un pomeriggio libero da passare come meglio credevo, senza l'angoscia di quel pensiero assillante che mi aveva tormentata incessantemente durante gli anni precedenti: "dovrei studiare".

Non dovevo studiare un bel niente, avevo finito e potevo starmene a casa, o uscire a fare quel che mi pareva.
Come spesso accade, però, quando accumuli tanti "appena ho tempo, vorrei fare questo/leggere questo libro/vedere questo film/uscire con questa persona", finisci col fissare il muro immobile per ore, senza riuscire a decidere cosa fare prima di cosa.
Così, senza pensarci troppo, decido di attendere l'illuminazione guardando cose a caso su YouTube.

"Killer whale documentary"


Trovo Blackfish, un documentario incentrato sulla storia di Tilikum, orca prigioniera nel più grande parco acquatico del mondo, da quasi trent'anni. A Tilikum sono imputabili i decessi di tre persone: due addestratrici e un visitatore del parco.
Guardo il documentario tutto d'un fiato, con le lacrime agli occhi e un groppo in gola che non è andato via se non dopo i titoli di coda.



Tilikum è stato strappato via dalla sua famiglia quando era ancora un cucciolo. Ha vissuto tra vari parchi acquatici, per il divertimento e la meraviglia di chi guardava la sua pinna piegata senza capirne la sofferenza. Ha condiviso la sua "piscina" con orche che non lo riconoscevano come appartenente al loro branco e lo isolavano, lo attaccavano. Ha spesso mostrato ferite, segni di denti, abrasioni. Soprusi ai quali non reagiva, perché era molto più grande delle altre orche e, se lo avesse fatto, con ogni probabilità le avrebbe ammazzate.

La visione di quel documentario mi scosse dal profondo. Provai vergogna, rabbia, disgusto.

La mattina dopo, avevo già preso appuntamento col tatuatore. 
Tilikum lo volevo sulla pelle, lo volevo con me per tutta la vita. Quei centimetri di pelle ora coperti dall'inchiostro sono per lui.
Per Tilikum, per Keiko, per Shamu e per tutte le orche ancora prigioniere.
Per ogni animale costretto a esibirsi nei parchi, nei circhi; per ogni animale prigioniero in uno zoo, in un allevamento, in una gabbia o in una teca.




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